Versi di Dante B.
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■ Primavera di
poesia.
Nella dolce primavera del 1948 mi svegliai alla
poesia. Come avvenne non so di sicuro. Certo vi influì la buona e giovanile amicizia.
La compagnia spensierata e simpatica mi fece uscire da uno
stato di cupa cristallizzazione in cui mi aveva confinato la filosofia. Per
essa mi ero ripiegato sul dubbio negatore e, tranne un attaccamento
tradizionalistico e sentimentale alla fede e all'istituto monarchico, più a
nulla credevo.
Questi caratteri sono evidenti nel mio romanticismo languente.
D'altronde, se volevo manifestarmi in poesia, non potevo che fotografarmi qual
ero.
Cominciai dunque a tendere verso qualcosa di nuovo, ma
ancora troppe catene mi legavano a quel che ero stato. Fu questa la prima lotta
spirituale. Non giunsi in quel tempo
a trasformarmi, ma almeno uno strattone ai legami l'avevo dato, ed essi
si erano visibilmente allentati.
La debolezza del concetto e la mancanza di tecnica
artistica, la stessa fretta nel verseggiare, resero mediocre la mia produzione.
Queste poesie hanno un valore solo per me. L'ho già detto: sono la
manifestazione inconscia di un desiderio di liberazione, e vanno da me
affiancate col bisogno di escursionismo sui monti, col bisogno di evasione che,
pure in quell'anno, raggiunse un'estesa attuazione, e mi modificò anche nel
fisico, oltre che nel carattere.
Ricordando tutto questo, oggi riordino e sviluppo.
Napoli, Gennaio 1957.
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